Parole chiave: attività fisica – apparato cognitivo – cognizione umana – ippocampo – coscienza del movimento – capacità decisionale – psico-neuro-endo-crino-immunologia.
INTRODUZIONE
Da qualche anno a questa parte il ruolo che l’attività fisica svolge nella nostra vita è diventato importantissimo, quasi prioritario. Si intende tale soprattutto per le persone che, in seguito ad un infortunio o per problemi legati alla propria salute, hanno dovuto seriamente prendere in considerazione l’attività fisica come una vera e propria medicina addirittura migliore di quelle che si trovano in farmacia. Con questo non si vuole tralasciare l’importanza che ricoprono queste ultime, soprattutto nelle fasi acute di malattia, ma si vuole riconoscere all’attività fisica la capacità di apportare effetti positivi su tutti gli apparati, organi e sistemi che compongono l’essere umano.
Sappiamo dei benefici che derivano dall’attività aerobica sul sistema cardiovascolare, degli effetti dello stretching sulla mobilità articolare e del movimento in generale sull’artrosi e su altre patologie degenerative, ma poco si sente parlare della relazione tra l’esercizio fisico e l’apparato cognitivo, degli effetti che l’uno ricopre sull’altro e viceversa. Proprio riguardo a questa affermazione nasce spontanea una domanda: è l’attività fisica a sviluppare il cognitivo o il cognitivo che sviluppa l’attività fisica?
L’ANALISI SCIENTIFICA
In un articolo pubblicato da Fabio Perna si riporta che gli studi di Griffin e altri ricercatori hanno dimostrato che “sia una singola sessione di esercizio fisico che l’esercizio fisico svolto in forma cronica, ha migliorato le prestazioni di giovani uomini sedentari (22±2 anni) nell’eseguire compiti di riconoscimento facciale (memoria associativa)” e che “gli adulti più anziani sani con livelli di fitness più alti, hanno meno decadimento cognitivo e rischio ridotto per demenza e malattia di Alzheimer rispetto a quelli con livelli di fitness più bassi”.
L’analisi proposta in questo articolo è centrata sulla produzione dell’Orexina (detta anche Hipocretina, neuropeptide che regola lo stato di vigilanza, coscienza e appetito) favorita dall’esercizio fisico, la quale ha effetti benefici sulla cognizione, plasticità e funzione dell’ippocampo (memoria), oltre che influire positivamente sulla regolazione dell’umore. Infatti, da uno studio condotto dagli scienzati della University of California di Los Angeles, sembrerebbe che i livelli di questo ormone risultino aumentati quando siamo felici e quasi nulli quando siamo giù di morale, in quanto la più comune forma di narcolessia (depressione e pessimo umore) è legata alla mancanza di Orexina nel cervello dovuta alla distruzione delle cellule che la producono.
Questa analisi, puramente chimica, ci dà quindi un riferimento importante su come praticare attività fisica dopo una dura giornata di lavoro, su quanto il movimento inteso come forma di espressione della propria personalità o sulla sua presenza in età infantile e senile, siano di fondamentale importanza per un corretto sviluppo neurologico. In sostanza, si considera l’attività fisica in funzione del cognitivo.
LA PSICO-NEURO-ENDO-CRINO-IMMUNOLOGIA NELLA STORIA
É la disciplina che studia le relazione bidirezionale tra psiche e i sistemi biologici. Nella psico-neuro-endo-crino-immunologia convergono, all’ interno di un unico modello, conoscenze acquisite (a partire dagli anni 30 de secolo XX) dall’endocrinologia, dall’immunologia e dalle neuroscienze.
Negli anni 30 fu stabilito per la prima volta, grazie al lavoro del tedesco Hugo Besedovky, un collegamento biologico bidirezionale tra cervello, stress e immunità; egli dimostrò che la reazione di stress è indipendente dalla natura dello stimolo.
Nella seconda metà degli anni ottanta, il fisiologo statunitense Edween Blalock dimostró che i linfociti hanno recettori per gli ormoni e i neurotrasmettitori prodotti dal cervello e che, allo stesso tempo, producono ormoni e neurotrasmettitori. Venne cosí definitivamente dimostrata la comunicazione bidirezionale tra cervello e immunità.
Gli anni novanta del secolo scorso hanno visto una crescita significativa degli studi sulla neurobiologia delle emozioni. La non regolazione del sistema dello stress da parte di emozioni, traumi ed eventi stressanti in genere, altera potentemente l’assetto e il funzionamento del sistema immunitario.
Studi del primo decennio del XXI secolo dimostrano che anche patologie come l’aterosclerosi e le cardiopatie in genere sono fortemente condizionate dall’umore; la depressione, con la sovrapposizione de cortisolo e catecolamine, contribuisce ad alterare la parete interna dei vasi, favorendo la formazione della lesione aterosclerotica.
Infine, ricerche del primo decennio del secolo presente hanno dimostrato che una incongruenza immunitaria a livello infiammatorio puó essere responsabile della sintomatologia che tradizionalmente viene riferita ai “disturbi di somatizzazione“, nonché ai tipici sintomi “psicosomatici” che accompagnano sia disturbi di cui si occupa la psicologia e la psichiatria (ansia depressione, sindrome di fatica cronica) sia disordini di carattere più propriamente medico (malattie autoimmuni, cancro).
In conclusione, si può affermare che con psico-neuro-endo-crino-immunologia viene a profilarsi un modello di ricerca e di interpretazione della salute della malattia che vede l’organismo umano come un’unità strutturata e interconnessa dove i sistemi psichici e biologici si condizionano reciprocamente.
LA REALTA’ DEL MOVIMENTO
Ciò che non viene detto nei riguardi dell’attività fisica è che, al giorno d’oggi, rimane un tabù per molte persone, costa fatica e spesso viene svolta in modalità errate che possono addirittura avere effetti negativi. Siamo a conoscenza dei moltissimi benefici che può apportare al fisico, siamo d’accordo su tutti i dati scientifici e sperimentali delle ricerche e degli studi condotti in merito, ma risulta sempre difficile considerare l’attività fisica come una priorità. Un esempio classico lo troviamo nel comune individuo che è costretto a praticare attività solo dopo avere subito un infarto, o in chi non si accorge dei danni che la rigidità muscolare sta procurando al proprio corpo come anche alla propria elasticità celebrale.
Ecco che, allo scopo di sviluppare una maggior sensibilità nei confronti dell’attività fisica, possiamo analizzare l’articolo in questione dal punto di vista contrario, seguendo una metodologia che parte dai processi cognitivi umani per poi sviluppare il movimento e, di conseguenza, l’attività fisica. Si intende fornire delle istruzioni che possano essere recepite direttamente dal sistema nervoso centrale che, una volta elaborate, riescano a consolidare la coscienza del movimento che si sta effettuando e ad attribuire al nostro sistema cognitivo la capacità di scegliere quale movimento è più corretto eseguire in una determinata situazione, in modo che l’attività fisica nasca dal sistema neurologico come mezzo per risolvere un determinato problema (motorio).
CONCLUSIONE
Torniamo all’ippocampo e ai miglioramenti che apporta l’attività fisica alle sue funzioni di memoria; la metodologia NEUROMOVE, ad esempio, dispone di molte esercitazioni che partono proprio dall’aspetto mnemonico, come memorizzare una sequenza di colori, di numeri o di movimenti che sono in grado di produrre, a sua volta, un movimento. Con questo non si vuole neutralizzare nessuna idea di pensiero, ma si vuole mettere in luce il fatto che, essendo l’esercizio fisico importante per lo sviluppo dei processi neurologici e cognitivi, ed essendo il movimento il precursore dell’attività fisica, anche l’aspetto neurologico può essere stimolato per l’apprendimento del movimento e per un maggiore sviluppo dei processi cognitivi stessi. Infatti, anche avere una maggior consapevolezza dell’attività fisica, apprenderne il significato e verificarne i benefici passano attraverso la cognizione umana.
Ecco perché noi Educatori Fisici, specialisti del movimento, dobbiamo ottemperare a questa realtà, dobbiamo capire l’importanza del lavoro interdisciplinare e proporre metodologie didattiche volte all’insegnamento del movimento, che possano contribuire alla psicologia e a alle scienze mediche come un mezzo terapeutico di autoconoscenza delle possibilità che l’attività neuro-cognitiva-motoria conferisce al nostro corpo. Tutto ciò non solo come preparazione ad una eventuale gara sportiva, se non anche come mezzo creativo per lo sviluppo psico-mentale.
FONTI:
AUTORI
Giacomo Pezzo – Jose De Laurentis