Parole chiave: Multitasking, evoluzione, neurobiologia, adattamento, attenzione, compiti nell’atto motorio.
È risaputo che gli esseri umani non si sono evoluti con la capacità di fare sport; non esiste, pertanto, una genetica predisposta per una determinata attività sportiva, in quanto lo sport stesso è stato sviluppato in funzione del movimento umano, e non viceversa.
Prendiamo in esame una situazione usuale: Giovanni è un calciatore amatoriale di 25 anni nato nel 1993, talentuoso e promettente, al quale si recrimina il fatto che le sue doti siano dovute alla genetica della sua famiglia di calciatori da parecchie generazioni a questa parte.
Ora, considerando che le generazioni vanno di 25 in 25 anni, e che il calcio giocato con il regolamento ad oggi conosciuto è stato fondato nel 1866 (“The Football Association”), risulta difficile pensare che un ipotetico “pluri bis-nonno” di Giovanni nato nel 1843 possa aver contribuito a trasmettergli dei geni da calciatore, in quanto il calcio, in quell’epoca, non era ancora nato.In sostanza Giovanni NON è nato per giocare a calcio, come nessuno dei suoi parenti, ma neanche Luca è nato per giocare a tennis e Marco per il basket; è proprio lo scopo della cultura sportiva naturalizzare queste menzogne ormai fondate, che si rivelano essere nocive in quanto costituiscono pressioni assurde nei confronti dei giovani atleti.
E’ vero che esistono teorie che dicono che il gioco della palla già esisteva nei secoli a.C, anche alla fine del medioevo di Shakespeare; definiva i primi calciatori come “those low soccer players”, comunque tutta la storia culturale, vale a dire dai secoli a.C, passando per il medioevo, fino a raggiungere la postmodernità di Giovanni, è solo un battito di ciglia in confronto ai milioni di anni di evoluzione.
Ancora una volta, nessuno è stato nato con geni sportivi, in ogni caso ci sono geni che aiutano a sviluppare movimenti i cui principali contributi, seguendo la logica evoluzionistica, è quella di contribuire alla sopravvivenza naturale della specie, trattasi dei movimenti istintivi del feto, i riflessi spinali rudimentali, nonchè del movimento volontario che tutti usiamo. Sono proprio questi i movimenti che hanno dato vita allo stressante rovescio a due mani del tennis moderno per esempio, o che costituiscono la base di sistemi di allenamento come ad esempio lo “yoga ancestrale”, l’antico allenamento militare, e diverse tecniche dello sport.
La cultura umana ha creato questo fenomeno, basti pensare allo spettacolo dei gladiatori nell’Antica Roma, dove a quel tempo, come oggi, l’umano ha dovuto adattarsi e sviluppare strutture neurologiche, che allo stesso tempo hanno guidato l’evoluzione del cervello dell’homosapiens.
Le multiple circostanze politiche e genetiche del fenomeno “sport”, nonostante tutti i loro interventi, nonostante tutto il “circo” ed il business che hanno creato, lo sport è attualmente uno dei pilastri nello sviluppo neurocognitivo dell’umanità.
L’evoluzione, piuttosto, non ha un proposito. Gli organi non si sono evoluti per un scopo che non sia il solo di aiutare l’organismo a sopravvivere. Di conseguenza le modalità di utilizzo dei tali sono in continua evoluzione. Non c’è un solo organo del corpo umano che faccia unicamente l’operazione che faceva il suo prototipo quando è apparso centinaia di milioni di anni fa.
Gli organi si evolvono per eseguire una funzione particolare, ma una volta formati possono anche adattarsi per altri usi, scartando o meno (a seconda dell’organismo in questione) le loro funzioni primarie.
La bocca per esempio, è apparsa perché gli organismi pluricellulari primitivi avevano bisogno di un modo per introdurre sostanze nutritive nel loro corpo. Noi umani usiamo ancora la bocca per questo scopo, ma la usiamo anche per baciare, parlare o cantare.
Allo stesso modo, le ali dei pennuti non sono emerse all’improvviso in tutto il loro aerodinamico splendore. Esse sono stati sviluppate da organi che avevano altra funzionalità. Secondo una teoria le ali degli insetti si sono evolute milioni di anni fa da protrusioni di insetti che non potevano volare. Gli insetti con queste protrusioni possedevano una dimensione più ampia, e questo permetteva loro di esporsi maggiormente ai raggi solari e quindi rimanere più al caldo.
In un processo evolutivo lento, queste protrusioni sono aumentate in dimensione. La stessa struttura che era ottima per il massimo assorbimento dei raggi solari (ampia superficie, basso peso) forniva anche agli insetti un certo supporto al momento di saltare, che poi lo avrebbero utilizzato per volare. Lo stesso tipo di multitasking è applicabile ai nostri organi e comportamento sessuale. Il Sesso si è evoluto prima per la procreazione, poi per il corteggiamento rituale come un modo per valutare l’idoneità di un potenziale partner. Tuttavia, oggi molti animali lo utilizzano per una moltitudine di scopi sociali che hanno poco a che fare con la creazione di piccole copie di sé stessi. Gli scimpanzé, per esempio, usano il sesso per rafforzare le alleanze politiche, stabilire l’intimità ed evitare tensioni tra loro.
Grazie alle dinamiche consumistiche, la vita post industriale, la rivoluzione tecnologica con aerei, telefoni cellulari, tablet, macchine con intelligenza artificiale e le nuove comunicazioni su Internet e le reti sociali, si possono analizzare infiniti tipi di dati; ad esempio la promozione di un nuovo telefono cellulare, oppure un corso di osteopatia, o il denaro che verrebbe perso per la terza guerra mondiale, costituiscono processi che l’organismo umano, guidato dal sistema nervoso centrale, deve costantemente massimizzare per rimanere connesso a questa realtà globale creando imprese straordinarie che sviluppano le sue capacità di racolta di dati.
Quando guidiamo l’auto mentre chiacchieriamo con il passeggero, quando leggiamo ed allo stesso tempo ascoltiamo musica o immaginiamo, quando si parla al telefono e mescoliamo il ragù, quando ascoltiamo un notiziario e contemporaneamente curiosiamo nella bacheca di facebook, ecc…, stiamo,in realtà, sviluppando la più grande capacità sportiva ad oggi conosciuta: il multitasking.
Infatti, ai livelli più alti dello sport moderno, si ricerca la massima prestazione a livello neurocognitivo, neuropsicomotorio, e sviluppando lo stimolo creativo di cui tanto ha bisogno il cervello umano del ventunesimo secolo.
In effetti, il concetto di sport è un multitasking, addirittura in quelli di situazioni “aperta”: si conduce, si controlla e si calcia la palla con piedi, si sprinta, si effettua la rimessa in gioco con le mani, si tiene a mente le regole del calcio, si mette in atto una tattica, mentre allo stesso tempo se legge il gioco secondo per secondo e si ascoltano le indicazioni dell’allenatore e dei compagni.
Tre domande nascono da tutto questo. La prime due magari possono rimanere senza risposta, mentre e la terza viene sviluppata.
Le attenzioni sono simultanea, oppure è un processo velocissimo ma sequenziale quello che svolge il cervello per i diversi compiti neuromotori?
Dunque… è proprio l’apprendimento e l’automatizzazione di un movimento quello che ci dà la possibilità di spostare l’attenzione ad altri compiti nell’atto motorio del multitasking?
Quindi cos’è il multitasking?
È la capacità simultanea che ha il cervello di adattarsi e interagire con l’ambiente circostante, facendo, due, tre, o più attività neuromotorie (con diversi tipi di attivazione neuromuscolari), con tutti e due gli emicorpi, con i diversi arti, e con grande concentrazione in molti casi .Questo abbinamento di attività, sviluppa un’attivazione parallela e auto-influenzante tra i diversi circuiti cerebrali di aree sensoriali, e regioni funzionali del cervello.
Quando ci riferiamo all’auto influenza, vogliamo sottolineare la differenza in termini di circuiti neurologici/motori, tra il vecchio sistema disposizionale che ancora conserviamo (che condividiamo con altri mammiferi, e che è alla base del nuovo ” Le mappe cerebrali “).
Il vecchio sistema è semplice, ciclico e chiuso, mentre quello nuovo può essere più complesso, ha anche feedback e feedforward, può anche essere modificato con infinite afferenze di altre regioni e ordini inferiori, come la sostanza grigia periacqueduttale, il tratto solitario, e il nucleo parabrachiale, (insiemi di strutture che sono coinvolti nella formazione di emozioni, e di sentimenti) oppure quelle di ordine superiore come le cortecce somatosensoriali, visive e uditive.
In conclusione, un gruppo di scienziati della Stanford University, ha messo in campo una ricerca con una ventina di studenti. I ricercatori hanno diviso il gruppo in due: “multitasking” e “tradizionalisti” (quelli abituati a concentrarsi su un’attività alla volta), e li hanno poi sottoposti ad una serie di test cognitivi. La conclusione è che il cervello dei multitasker risulta meno efficiente perché male allenato, in quanto costretto a lavorare in modo non funzionale. L’essere esposti ad un flusso continuo di informazioni, infatti, danneggia il processo di memorizzazione, impedisce di concentrarsi e di distinguere gli stimoli rilevanti da quelli distraenti.
Ovviamente questa ricerca non può essere usata come una verità assoluta nel mondo in generale, né in quello dello sport in particolare, sulla base del fatto che l’evoluzione stessa, così come lo sport moderno, ha caratteristiche e momenti di multitasking, come altri momenti di massima attenzione ad un particolare movimento, attività o funzione.
In ogni caso la ricerca di Stanford ci aiuta a riflettere sulla quantità, la qualità o l’invalidità del multitasking all’interno di un programma di allenamento, la cui realizzazione viene determinata dalle caratteristiche dello sport, e dalle caratteristiche neuropsicologiche di ciascuno dei nostri atleti o allievi.
Fonti:
Yuval Harari, “Sapiens”
Antonio Damasio, “Il sé che viene alla mente”
Niles Eldredge, “L’origine dell’Albero della Vita”
Angel Barco, “Universo Neuronali”
Pietro Trabucchi, “Tecniche di resistenza interiore”
Autore: Jose De Laurentis.